Forse non sapete che...

    Confraternite diverse, carismi comuni.

    In funzione dei diversi bisogni verso cui intervenire, non a caso si davano e si possono dare più Confraternite nella stessa località, e parimenti non a caso queste associazioni erano e restano legate in modo ben preciso alle rispettive Arciconfraternite “case-madri”, cosicché non era permesso avere due o più Confraternite affini nello stesso luogo per non disperdere forze e non avere un “doppione” nel medesimo servizio (storicamente era possibile attivare Confraternite della stessa specie solo se tra di queste c’era una distanza minima di due miglia, attualmente non è prevista una distanza geografica minima ma va sempre e comunque osservato il criterio dell’utilità pastorale ossia si deve trattare di una struttura che abbia una oggettiva utilità, anche se per poche persone). Tuttavia potevano e possono benissimo convivere nello stesso luogo o zona più confraternite dello stesso genere, ma di tipo diverso, della Trinità e del Gonfalone nel caso che ci interessa (è il caso di Serravalle da almeno 5 secoli). Entrambe avevano ed hanno scopi di riscatto dalle emarginazioni ma diverso modo con cui questi scopi vanno realizzati e diversa autorità ecclesiastica di riferimento, senza problemi di coesistenza degni di nota, eccetto a volte qualche episodio di campanilismo, buono per la storia locale ma non rilevante ai fini del servizio complessivo da dare, indipendentemente da perturbazioni di sorta che non devono sviare (anche se può essere successo) dalle questioni di fondo.

    Questo intreccio di combinazioni spiega come mai nella stessa località potevano e possono operare contemporaneamente Confraternite trinitarie e Confraternite del Gonfalone che, come si è visto, condividono (almeno in via di principio) alcuni obiettivi affini. La ragione sta nel fatto che (indipendentemente dai corsi e ricorsi della storia) qualcuno ci doveva e ci potrebbe tutt’ora essere (l’una o l’altra Confraternita alternativamente, o tutt’e due contemporaneamente) per continuare il servizio di assistenza ai pellegrini, viandanti e migranti, e di riscatto di chi si trova schiavo od emarginato a causa delle catene costituite dai mali fisici e morali da cui l’umanità è tutt’ora afflitta.

    Non si tratta di questioni di monopolio o di diritti acquisiti ma di mantenere un servizio urgente, di andare avanti a rispondere concretamente ad un’urgenza socio-assistenziale: chi ha fame attende innanzitutto cibo (e poi, dopo, come fare per continuare a procurarselo), e non certo discussioni solo teoriche circa la sua fornitura! É sempre la stessa storia: mentre ci si impegna a rivendicare i propri legittimi diritti si rischia però di perder di vista gli obiettivi che questi diritti dovrebbero tutelare. Di conseguenza, finché perdurano solo le discussioni e dispute in materia, moltissime persone continuano a non ricevere l’annuncio cristiano e gli atti di reale carità che lo dovrebbero dimostrare concretamente!

     

    I colori dello stemma trinitario della facciata del nostro Oratorio.

    - il bianco é il colore neutro per eccellenza, richiama l'Infinito e quindi Dio Padre (questo colore viene di conseguenza usato per lo sfondo su cui campeggia la croce); una ulteriore spiegazione individua nel bianco il colore della veste candida di biblica memoria, richiama sia l'uomo nuovo che l'Uomo Nuovo (in questo caso il blu ed il rosso sono i colori del sangue e dell'acqua sgorgati dal costato di Cristo crocifisso),
    - il blu significa Dio Figlio riposto nel Presepio e deposto nel Sepolcro, essendo il blu il colore simbolico della divinità, in quanto colore del cielo (in ebraico l’espressione “che sei nei cieli” significa “che sei Dio”: sei nei cieli, ossia nella dimensione ultraterrena delle cose -e non in quella terrena- proprio perché sei Dio); chiaro riferimento al Dio che si fa uomo nella nascita e che come uomo si assoggetta alla morte, per compiere la sua missione sull’umanità; un'altra interpretazione di questo colore significa nel colore blu le ecchimosi procurate dalle flagellazioni ricevute da Gesù sulla via del Calvario, quindi tende a richiamare piuttosto la Passione Redentrice di Cristo e viene usato per il "patibulum", il braccio orizzontale della croce, richiamo a quella su cui Egli fu inchiodato;
    - il rosso (beninteso della croce, non dell’intero abito confraternale) richiama il fuoco, quindi l'effusione di Dio Spirito Santo che feconda la Vergine, scende sugli Apostoli ed infiamma il cuore dei fedeli (e viene usato per lo "staticulum", il braccio verticale della croce, la cui posizione rinvia alla discesa dello Spirito Santo stesso).
     

    L'abito confraternale trinitario nelle sue due versioni.

    Può forse essere utile una breve spiegazione di alcune singolarità/particolarità dell’abito, visto che quello delle Confraternite trinitarie presenta (almeno in via di principio) alcune peculiarità. A seconda dei casi può essere completamente rosso oppure bianco “cum cruce”.

    Il rosso é il colore caratteristico dell’abito dell’Arciconfraternita della Trinità ed ovviamente delle sue aggregate. Indica l'effusione dello Spirito Santo ed il fuoco della carità che deve infiammare il cuore di chi é iscritto a questa associazione nell'esercitarne lo scopo: la glorificazione della Trinità attraverso l'azione di liberazione del prossimo dall’abbandono e dalle emarginazioni. Non poteva essere scelto colore migliore per il Mistero principale della Fede, visto che, simbolicamente, il rosso indica la regalità (regalità di Cristo, Signore dell’universo, della storia e dell’umanità redenta): nell’antichità il rosso ottenuto con la porpora era il colore degli abiti di un sovrano.

    L’abito bianco é quello delle origini di tutte le Confraternite (non importa di che titolo), richiama il colore dei primi abiti in stoffa povera, indossati dai Flagellanti e dai Disciplinanti medievali (coerentemente con lo spirito di mortificazione e di riparazione che fu posto ad origine e che animò le prime forme di associazionismo confraternale, i primi Confratelli e Consorelle, per manifestare pubblicamente il loro impegno di espiazione per i peccati del mondo e di pacificazione sociale adottarono come abiti delle rozze tuniche, richiamo alle vesti di penitenza di biblica memoria). Così furono e sono confezionati gli abiti della maggior parte delle Confraternite. Su questo abito sono quindi stati inseriti o aggiunti diversi altri elementi, ivi compresa, in alcuni casi specifici come quelli delle C. legate ad Ordini religiosi, l’adozione di elementi delle tonache dei frati: in primis, ad esempio, lo scapolare, o la mantellina (riduzione del mantello), o la corona (del Rosario o di altra devozione).

    Così, dato quanto appena precisato, le Confraternite della Trinità non hanno sempre abito rosso ma possono pure averlo bianco (a richiamo di quello dei frati) sul quale campeggia la c.d. “croce trinitaria” (stemma dell’omonimo Ordine religioso) che richiama le tre Persone del Mistero principale della Fede in base ai tre colori – bianco, azzurro e rosso – con cui è realizzata. Ovviamente (considerando i singoli casi, la cui evoluzione storica è sempre qualcosa di esclusivo ed originale) si possono dare combinazioni di emblemi e/o di elementi tra i diversi abiti.

     

    L'angelo

    Fino a qualche decennio fa, la letteratura e l’iconografia dell’Ordine Trinitario, relative all’apparizione divina che ne ispirò la fondazione, ci presentavano, come soggetto principale, un angelo al posto di Cristo; nonostante che il mosaico sulla facciata della chiesa di San Tommaso in Formis di Roma, raffigurante Cristo, è stato sempre ben visibile al suo posto sin dal 1210.

    Per spiegare la preferenza dell’angelo al Cristo, formulo tre ipotesi:
    1. Il falso storico: qualche artista dei primordi dell’Ordine s’inventò la visione angelica.
    2. Un atto d’umiltà di coloro che commissionavano le opere pittoriche o che scrivevano sull’argomento, i quali ritenevano troppo impegnativo, se non addirittura atto di profanazione nei confronti Cristo, tirare in causa la sua immagine;
    3. Le apparizioni divine furono due, con soggetti diversi: Cristo e l’angelo.

    La prima ipotesi è da scartare: quando si vuole falsificare qualcosa, si fa in meglio non in peggio. La seconda non avrebbe senso: l’immagine di Cristo, come soggetto dell’apparizione, era, come si è detto, ben visibile sul portale di San Tommaso in Formis. Non rimane che prendere in considerazione la terza ipotesi.

    È fuori dubbio che a San Giovanni de Matha, durante la sua prima Messa, apparve Cristo. Per quanto riguarda l’apparizione dell’angelo, l’argomento diventa più complesso ed intricato. Il Racconto Anonimo parla di una visione avuta da Innocenzo III “come quella” di Giovanni; non la stessa, quindi, ma simile: un angelo? La sequenza parla chiaramente dell’apparizione dell’angelo al Papa, e solo a lui; ma non parla della visione avuta da fra Giovanni. Roberto Gaguin, nella sua narrazione del 1492, non parla dell’apparizione personale a Giovanni, ma accenna ad una triplice visione celeste avuta da Giovanni e da Felice, mentre riposavano, e si dilunga sull’apparizione personale dell’angelo ad Innocenzo III. Nella narrazione del 1497, Gaguin parla di una generica visione, avuta dai due fondatori: un angelo li esorta a recarsi a Roma; di una prima visione, “simile” a quella dei fondatori, avuta da Innocenzo III; ed infine descrive, sia pura in modo più breve, una seconda apparizione dell’angelo al Papa. Da Roberto Gaguin, inoltre, abbiamo altre notizie che ci aiutano a dirimere la questione. Nella prima narrazione dice: “È tuttora visibile, in alto, sul muro principale del convento, un antico dipinto che, a chi osserva, testimonia la visione suddetta, che il Pontefice ha avuto”. Nella seconda, invece, afferma: “L’immagine di ciò (l’apparizione dell’angelo ad Innocenzo III) è visibile a Roma, sul Monte Celio, presso San Tommaso in Formis, dove Innocenzo costruì una chiesa alla divina Trinità”. Secondo Gaguin, quindi, in San Tommaso in Formis c’erano due raffigurazioni dell’apparizione. In quella citata nel documento del 1492 c’è un errore: sul portale c’è il mosaico con il Cristo. Quella citata nel brano del 1497, collocata presso San Tommaso in Formis (inteso come complesso architettonico, non già come chiesa), rappresenta una novità. Bourgeois colloca la raffigurazione della visione non sul frontale del portone del complesso di S. Tommaso in Formis, ma in una chiesa situata all’interno della costruzione; ci fa sapere anche, a proposito dell’epitaffio sulla tomba di fra Giovanni, che nell’ambito della casa trinitaria del Celio c’erano due chiese: una piccola, dove c’era il sepolcro, ed una grande “completamente scoperchiata e semi distrutta”. Ancora Roberto Gaguin, nel suo libro Cronaca Dei Ministri Generali dell’Ordine, parlando di fra Tommaso Loquet, che ricoprì quella carica dal 1337 al 1357, ci riferisce che: “Egli collocò sull’altare maggiore di Cerfroid dei dipinti su legno, ritraenti la Rivelazione dell’Ordine, già oscurate dall’antichità”. Per permettere alla polvere ed al fumo delle candele di annerire un quadro, tanto da farlo apparire antico, occorrono almeno una cinquantina d’anni; quindi bisogna datare la fattura dei quadri di Cerfroid almeno agli anni ottanta o novanta del XIII secolo. Il soggetto di uno di questi quadri ce lo fa conoscere un testimone del processo per la canonizzazione di S. Giovanni e di S. Felice, avvenuto nel 1666: fra Girolamo del Santissimo Sacramento, il quale disse d’aver visto nella chiesa della località denominata Cerfroid “Un dipinto antichissimo nel quale è dipinta l’istituzione di detto Ordine con l’apparizione angelica, [...] si ritiene da tutti che detto dipinto fu fatto 400 anni prima o circa”. Anche su questo quadro, quindi, è raffigurato l’angelo. Il quadro di Cerfroid e il dipinto della chiesa in San Tommaso in Formis, quindi, sono contemporanei e vanno fatti risalire al periodo presunto della sequenza, la quale parla della sola visione dell’angelo ad Innocenzo III.

    I primi frati trinitari, a differenza di quelli d'altri ordini religiosi, erano troppo impegnati nelle loro attività caritative per potersi dedicare alla stesura della storia dell’Ordine, alla perfetta manutenzione ed alla consultazione dei loro archivi. Quando qualcuno di quei religiosi scriveva o commissionava qualche opera inerente all’istituzione, lo faceva attingendo, prevalentemente, dalla tradizione orale. La tradizione, però, col passare del tempo può subire qualche variazione, ma sostanzialmente rimane vera, specialmente se si rifà, come nel caso dei primi frati trinitari, a coloro che gli avvenimenti li avevano vissuti in prima persona. Nella seconda metà del XIII secolo si era, ormai, attuato il cambio generazionale tra i religiosi che avevano vissuto in prima persona la nascita dell’Ordine e quelli del periodo successivo. Costoro incominciarono ad avvertire la necessità di testimoniare gli avvenimenti della nascita della loro istituzione; il mosaico di San Tommaso in Formis, però, era troppo distante da Cerfroid, che, dopo il 1217, con la morte del padre Generale Giovanni l’Inglese, aveva soppiantato la casa di Roma in qualità di sede generalizia, e quindi come centro direzionale e decisionale dell’Ordine; ed il Racconto Anonimo giaceva, con ogni probabilità, dimenticato in qualche biblioteca. Mentre, però, conosciamo il soggetto raffigurato nel dipinto di Cerfroid, nulla sappiamo di quello di San Tommaso in Formis. Stando alle testimonianze a noi giunte (Gaguin e Bourgeois), dovrebbe riguardare la visione d’Innocenzo III. Da quanto detto, penso si possa arrivare alla conclusione che, pur non entrando nel merito della visione d’Innocenzo III e dei due fondatori, la tradizione dell’apparizione dell’angelo risale agli albori dell’Ordine, e come tale va rispettata e accettata. Solo agli inizi del XX secolo, con le ricerche e gli scritti di P. Antonino dell’Assunta e di P. Angelo Romano, entrambi religiosi trinitari, ma soprattutto con gli studi più recenti di P. Ignazio Marchionni e P. Giulio Cipollone e le iconografie commissionate da P. Michele Nardone, anch’essi trinitari, il binomio Cristo/S. Giovanni ha avuto la sua giusta collocazione nella storiografia e nell’arte dell’Ordine della SS. Trinità. L’angelo, come soggetto delle apparizioni, non è, quindi, da considerarsi un falso storico dovuto alla contraffazione, alla manipolazione di documenti e tanto meno alla loro dolosa invenzione.

    Francesco Citriniti
    tratto dal sito dell’ADEAT
    Associazione Degli Ex-allievi e Amici dei Trinitari
    (vedi la sezione: "siti internet attinenti")


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    N.B.: è molto probabile che la pietà popolare non si addentrasse più di tanto nello specifico, e che quindi si identificasse nell'Angelo Custode la figura dell'angelo della visione sopra descritta; per questi motivi, la presenza delle confraternite trinitarie è quasi sempre accompagnata dal culto degli angeli. Del resto gli angeli (i 9 "cori" angelici: Cherubini, Serafini, ecc.) richiamati anche dal Trisagio, stanno dinanzi a Dio e quindi alla diretta presenza della Trinità.